Muoversi 2 2022
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LE POLITICHE ENERGETICHE EUROPEE NON SUPERANO LA PROVA DEI FATTI

LE POLITICHE ENERGETICHE EUROPEE

NON SUPERANO LA PROVA DEI FATTI

di Simona Benedettini

Simona Benedettini

Economic and Energy Consultant

In questi ultimi anni la Commissione europea ha adottato soluzioni sostanzialmente autoreferenziali in materia di politica energetica, con effetti che oggi stiamo pagando sulla nostra pelle. La crisi attuale, energetica e geopolitica, potrebbe perciò rappresentare l’occasione per correggere il tiro ed evitare che il processo di transizione energetica fallisca ancora prima di iniziare.

L’impennata dei prezzi del gas naturale osservata dopo l’aggressione della Russia all’Ucraina non è un evento nuovo. Nel corso del 2021, infatti, sul mercato di riferimento per lo scambio di gas naturale in Europa, il TTF, i prezzi spot sono più che triplicati: dai circa €15-20/MWh del primo semestre agli oltre €60/MWh di dicembre, con punte di €140/MWh poco prima di Natale. Analoghe evidenze emergono per i prezzi dell’energia elettrica: il valore medio mensile del PUN è passato da €84,20/MWh a giugno a €281,24/MWh a dicembre.

Da una parte, la crescita dei consumi dovuta alla ripresa economica post COVID-19 e a temperature più rigide. Dall’altra, un inadeguato livello degli stoccaggi unito a ridotti investimenti nella ricerca di nuovi giacimenti a causa dei bassi prezzi del gas degli scorsi anni e alla scelta di molti Stati della UE, tra cui l’Italia, di bloccare l’esplorazione di idrocarburi

Le ragioni dell’aumento di dicembre sono molteplici e, tra queste, la crescita dell’incidenza delle fonti rinnovabili non programmabili nei consumi finali lordi di energia e di cui l’elettricità rappresenta circa il 23%. Nel 2010 la quota di elettricità prodotta da fonti rinnovabili non programmabili, come sole e vento, era pari al 5% per i Paesi dell’UE27. Nel 2020 è salita al 17%. 

A fine 2021, infatti, sul mercato del gas naturale si è assistito a uno squilibrio tra domanda e offerta. Da una parte, la crescita dei consumi dovuta alla ripresa economica post COVID-19 e a temperature più rigide. Dall’altra, un inadeguato livello degli stoccaggi unito a ridotti investimenti nella ricerca di nuovi giacimenti a causa dei bassi prezzi del gas degli scorsi anni e alla scelta di molti Stati della UE, tra cui l’Italia, di bloccare l’esplorazione di idrocarburi. Le tensioni sui prezzi del gas naturale, unitamente all’aumento dei prezzi della CO2, si sono scaricate sul mercato elettrico dove la ripresa della domanda e le condizioni meteo sfavorevoli alla produzione rinnovabile hanno fatto sì che fossero le centrali a gas a soddisfare prevalentemente i consumi elettrici.

Sino a che i costi per lo sviluppo di sistemi di accumulo dell’energia elettrica non diminuiranno a valori tali da renderne possibile la diffusione su larga scala, e data la struttura del mix di generazione elettrica di molti Paesi europei, le centrali a gas continueranno a coprire larga parte dei consumi non soddisfatti dalle fonti rinnovabili.

La risposta della Commissione all’evidente essenzialità delle centrali a gas nel supportare la transizione energetica è stata quella di impedire, di fatto, di realizzarne di nuove. La Tassonomia sulle attività sostenibili, il regolamento europeo che identifica gli investimenti green, qualifica come sostenibili gli impianti a gas solo se rispettano limiti emissivi di CO2e/kWh che neanche le più innovative centrali sarebbero in grado di soddisfare a meno di non adottare sistemi di cattura e stoccaggio della CO2.  In virtù di tali criteri, gli oneri finanziari per la costruzione di nuovi centrali a gas potrebbe aumentare con l’effetto o di scaricarsi sui prezzi dell’elettricità o di scoraggiare nuovi investimenti, aumentando così i costi per l’integrazione delle fonti rinnovabili per effetto di maggiori disservizi o del ricorso a tecnologie più costose per garantire la sicurezza del sistema.

A complicare il quadro, il pacchetto Fit for 55 con le proposte della Commissione per raggiungere il target del 55% di riduzione delle emissioni di gas serra al 2030. Obiettivo necessario per conseguire il traguardo di emissioni nette zero al 2050 fissato dal Green Deal europeo. Il pacchetto, tra le altre misure, rivede il target sull’incidenza delle rinnovabili sui consumi finali lordi di energia al 2030 portandolo dall’attuale 32% al 40%. Un cambiamento che porterà a una ulteriore accelerazione nell’incidenza delle rinnovabili non programmabili nel mix di generazione elettrica con gli effetti già osservati in termini di volatilità e livelli dei prezzi elettrici.

La valutazione d’impatto elaborata in accompagnamento al Green Deal osserva, infatti, che la spesa energetica al 2030 dei consumatori domestici potrebbe aumentare, per effetto di queste politiche, tra il 23% e il 28% rispetto al livello del 2015. In particolare, gli aumenti nei prezzi di elettricità e combustibili impatterà maggiormente sui consumatori meno abbienti

Effetti, inoltre, di cui la Commissione è a conoscenza. La valutazione d’impatto elaborata in accompagnamento al Green Deal osserva, infatti, che la spesa energetica al 2030 dei consumatori domestici potrebbe aumentare, per effetto di queste politiche, tra il 23% e il 28% rispetto al livello del 2015. In particolare, gli aumenti nei prezzi di elettricità e combustibili impatterà maggiormente sui consumatori meno abbienti. Questi ultimi, sempre secondo l’Impact Assessment, non avranno poi le risorse necessarie per adottare soluzioni di efficientamento energetico per contenere l’aumento dei prezzi energetici a meno che non vengano adottate politiche o incentivi specifici.

Queste valutazioni peraltro sono ottimistiche poiché effettuate prima della crisi ucraina e dei cambiamenti che questa apporterà nel quadro macroeconomico e in quello energetico. Rispetto alle dinamiche già in atto, nel 2021 sui mercati di gas ed elettricità, la crisi ucraina si è accompagnata a prezzi del petrolio più volatili, riflessi poi nei prezzi dei carburanti, e a un aumento della produzione elettrica da carbone. Fenomeno, quest’ultimo, a sua volta già noto. In un recente rapporto, l’Agenzia internazionale per l’energia osserva che nel 2021 le emissioni di CO2 sono aumentate del 6% rispetto al 2020 e che il 40% di tale aumento è ascrivibile all’impiego del carbone, in particolare per la generazione elettrica di cui ha coperto il 36% a livello globale.

Solo questo avrebbe dovuto portare la Commissione a riflettere circa il realismo dei propri scenari di decarbonizzazione e sulla necessità di ripensare l’approccio  sin qui seguito. Non solo tale riflessione non c’è stata, ma la risposta della Commissione è stata quella di spingere per l’adozione del Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM) e di estendere il meccanismo ETS (Emissions Trading Scheme) al settore del trasporto. Il primo, è un sistema di tassazione alle importazioni ad alta intensità di carbonio per cemento, alluminio, fertilizzanti, produzione elettrica, ferro e acciaio. Il secondo, è il meccanismo per la determinazione del prezzo della CO2 attraverso lo scambio di permessi operante in Europa dal 2015. Il CBAM di fatto ridurrà il perimetro di azione dei soggetti privati per fronteggiare prezzi energetici sempre più volatili. L’estensione dell’ETS al settore dei trasporti renderà di fatto più costosi i prezzi dei carburanti.

Nel momento in cui le fonti fossili diventano sempre più imprescindibili nel supportare il processo di transizione energetica, mitigandone in primo luogo i costi, la Commissione europea continua tuttavia ad alzare l’asticella. Costi quel che costi.